La finanza islamica fa breccia

Mentre l'Italia sta a guardare, il Regno Unito di David Cameron incassa il successo dei Sukuk emessi nel giugno 2014 per 200 milioni di sterline e punta a far diventare la City sempre più «Sharia-compatibile». Stiamo parlando di certificati d'investimento conformi ai criteri della Sharia, la legge tradizionale islamica, che proibisce il prestito a interesse.

Anche la potente banca americana Goldman Sachs incontra gli investitori del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti, in vista di una prossima prima emissione di bond islamici.

E il governo di Hong Kong cerca di affermarsi come piazza finanziaria per gli investitori musulmani, emettendo Sukuk per un controvalore che andrà da 500 milioni a un miliardo di dollari.

Le stime effettuate dal Moody's Investor Service parlano chiaro: nel 2014 le emissioni di Sukuk sono destinate sfiorare quota 300 miliardi di dollari, con più di un terzo emesse da Stati sovrani. Cifra destinata ad aumentare sensibilmente nei prossimi anni a causa dei finanziamenti dell'Expo 2020 che si terrà a Dubai.

Secondo PricewaterhouseCoopers LLP, la vendita di Sukuk entro il 2017 potrebbe arrivare a sfiorare un giro d'affari globale dal valore di 2.600 miliardi di dollari. Londra ha il vantaggio di essere partita in anticipo, ma intanto in Italia tutto tace

"Affari Legali" ha approfondito l'argomenti insieme ad alcuni avvocati, per capire il perché di questo marcato disinteresse nei confronti di questo tipo di strumenti.

La possibilità di utilizzare questo strumento è sicuramente possibile anche in Italia, spiega Alessandro Russo, dello studio legale associato Tupponi, De Marinis, Russo & Partners: «bisogna comunque considerare che il nostro è un contesto molto diverso da quello inglese, certamente più tradizionalista e meno propenso alla sperimentazione di nuovi strumenti finanziari».

Secondo Russo si renderebbe quindi necessaria una campagna di informazione finalizzata a render chiaro il funzionamento di questi strumenti ma anche «un'attenta analisi delle norme che dovrebbero regolamentare l'emissione di tali strumenti da parte di soggetti, siano essi pubblici o privati, di diritto italiano».

Il professionista tende a sottolineare che non si tratta di un caso se si parla di «strumenti» nel senso più ampio del termine, in quanto il termine sukuk «ha esattamente questo significato: è un mezzo e non, come si potrebbe pensare, un prodotto finanziario ben definito.

Anzi, è a mio parere errato paragonarlo ai nostri titoli obbligazionari. Basti considerare che i Sukuk possono assumere diverse forme, ma sono comunque sempre legati ad un'attività reale, già realizzata oppure da realizzare. Questa dovrebbe essere la caratteristica che potrebbe favorirne la diffusione anche nel nostro paese: l'investitore ha la possibilità di conoscere sin dal principio la destinazione del denaro investito ed è come se ricevesse una sorta di certificato di proprietà di una quota dell'attività finanziata».

È bene chiarire, fanno presente gli avvocati interpellati da Affari Legali, che quando si parla di finanza islamica in senso stretto, non si tratta di una nuova forma di investimento destinata alla platea italiana, ma piuttosto di un modo per attrarre investitori di paesi islamici che hanno maggiore liquidità da investire. È questo l'obiettivo che si è posto il governo inglese con l'emissione dei Sukuk che tanto interesse ha suscitato in tutto il mondo occidentale.

«Questo tipo di strumenti e in generale la finanza islamica rappresenta una significativa opportunità per i paesi occidentali e ciò è ancora più rilevante per l'Italia, considerando non solo la posizione geografica, ma anche i rapporti tra il nostro paese ed il Medio Oriente», commenta Ugo De Vivo, of counsel e responsabile dell'Italian desk di Dla Piper presso la sede di Londra, che riguardo al crescente dibattito nei paesi dell'Europa continentale (si guardi ad esempio alla Francia dove sono allo studio modifiche legislative per permettere l'emissione di Sukuk) aggiunge che si tratta della riprova di come sia ritenuto di grande importanza l'espansione nei nostri sistemi del mercato della finanza islamica.

Significativa è anche l'apertura delle autorità di supervisione dai paesi del Gcc (Gulf Cooperation Council, il Consiglio di cooperazione degli stati del Golfo Persico) che stanno lavorando per creare delle regole più definite ed un sistema armonizzato per i Sukuk. «L'esperienza inglese rappresenta sicuramente un esempio a cui ispirarsi e dimostra come questo tipo di prodotto, se pure con indubbie difficoltà, sia compatibile con l'economia di stampo occidentale.

La recente emissione diSukuk da parte del governo inglese, le indicazioni che il Lussemburgo sia in procinto di emettere un prodotto simile a quello inglese, che operatori come Goldman Sachs e Nomura si siano mossi in tale direzione, è la dimostrazione di come il mercato occidentale sia sempre più recettivo all'esigenze della finanza islamica», continua De Vivo, che riguardo al sistema italiano, spiega: «non ha certamente la flessibilità dei sistemi anglosassoni che permettono di rispondere più rapidamente alle esigenze strutturali di Sukuk.

Tuttavia, nel nostro sistema ci sono già forme legali, quali ad esempio i patrimoni destinati e la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all'affare, che, con i necessari e fondamentali adeguamenti, possono rappresentare la base per lo sviluppo di prodotti «Sharia complaint».

Tuttavia, è evidente che sono necessarie modifiche sia regolamentari che legali e fiscali per consentire l'ingresso e lo sviluppo deiSukuk in Italia», conclude De Vivo.

Fonte: Italia Oggi