Analizziamo i principi che regolano le istituzioni finanziarie ispirate alla finanza islamica e gli strumenti utilizzati dalle banche islamiche per finanziare le imprese.
La finanza islamica moderna negli ultimi anni ha subito un notevole sviluppo grazie alla graduale apertura, nei paesi di cultura islamica, agli investimenti esteri e, contemporaneamente, alla progressiva (seppur non completa) liberalizzazione dei sistemi bancari.
Il diritto islamico non è un diritto “statico” basato soltanto sui precetti religiosi del Corano inteso quale fonte primaria; a quest’ultimo si affiancano altre fonti del diritto quali gli atti e i detti del Profeta (Sunna) ed altre fonti gerarchicamente subordinate come il consenso dei Dotti (Ijimā) e l’analogia giuridica (Qiyās).
Principi della finanza islamica
I principi dell’economia sono strettamente connessi ai precetti religiosi, si parla di finanza etica svincolata dalla logica del profitto anche se, a volte, si abusa di tale terminologia cercando di dare una veste diversa a quella che è la naturale e storica vocazione dell’attività bancaria e di intermediazione creditizia. I principi economici religiosi sui quali si basa la finanza islamica sono i seguenti:
- Riba (divieto del tasso d’interesse)
- Gharar (divieto dell’incertezza)
- Maysir (divieto della speculazione)
- Haram (vietato) vs Halal (consentito)
- Zakāt (la tassa islamica).
Uno dei principi cardine attorno al quale ruota il sistema della finanza islamica è il divieto di riscuotere o pagare interessi in quanto ritenuti assimilabili all’usura (Riba). L’interpretazione data dai giuristi musulmani è unanime nel sostenere che, in virtù di tale precetto, un bene debba essere restituito nella stessa sostanza ed in egual misura: “simile per simile, datteri per datteri, grano per grano, da una mano all’altra”.
Ciò non significa tuttavia che il prestito sia vietato e che il capitale non abbia un costo: ai fini dell’attività creditizia (sia essa svolta da una banca o da altro intermediario finanziario) quello che risulta vietato è l’applicazione di un tasso fisso di remunerazione del capitale stesso.
Altro principio è dato dall’obbligo dell’elemosina, detta “Zakat”. In base a tale principio ogni anno tutti i musulmani adulti devono fare l’elemosina attraverso donazioni che vengono effettuate dai fedeli solitamente durante il periodo del Ramadan. Tale obolo di fatto costituisce una tassazione sulla ricchezza detenuta (in denaro o altri beni) e la percentuale ritenuta congrua si aggira attorno al 2,5%.
Per un’impresa che intende investire nei Paesi Arabi attraverso la creazione di una società mista ( e spesso questa è l’unica opzione) con partner locale non è secondaria l’analisi degli aspetti di cui si sta in questa sede discutendo. Si pensi ad esempio ai riflessi della Zakat sulla tassazione degli utili distribuiti che saranno tassati in maniera differente a seconda della nazionalità (o meglio della religione) dei singoli soci: il partner locale sarà tenuto al versamento di un’imposta a titolo di Zakat, mentre l’investitore straniero subirà un prelievo più oneroso come previsto da normative ad hoc predisposte nei singoli paesi sugli investimenti stranieri.
Strumenti utilizzati dalle banche islamiche per finanziare le imprese
Gli strumenti finanziari sharia compliant sono piuttosto articolati e complessi e di non immediata comprensione per la cultura occidentale, che prevede invece l’applicazione di tassi di interesse.
La banca islamica non concede prestiti, ma investe in operazioni che hanno come attività sottostante un bene reale (ed in tal caso l’operazione è assimilabile ai nostri contratti di scambio) oppure attraverso l’acquisizione, in misura più o meno rilevante, di quote di partecipazione (assimilabili agli istituti occidentali del Project Financing o del Venture Capital): la banca sostiene l’investimento condividendo il rischio e di conseguenza acquisisce un diritto alla partecipazione ai profitti realizzati dall’impresa.
Le tecniche di finanziamento della finanza islamica possono essere divise in due grandi categorie a seconda del grado di partecipazione al rischio:
- tecniche basate sul profit-loss sharing (PLS)
- tecniche di non profit-loss sharing (non PLS, comunemente dette anche di “mark-up”).
Ulteriore categoria è costituita dai prodotti bancari non finanziari tra i quali menzioniamo i fondi comuni di investimento a scopo lucrativo (mushtarak), i fondi di solidarietà (takaful) e i sukuk, una sorta di titoli obbligazionari islamici.
Analizziamo ora le principali tecniche di finanziamento basate sul profit-loss sharing (PLS), nello specifico i contratti di “Mudaraba” e “Musharaka”, che sono alla base anche dell’attività di finanziamento e investimento in ambito internazionale (joint venture, project finance e venture capital).
Contratto di “Mudaraba”
Il contratto di “Mudaraba” è un contratto associativo misto, di lavoro e capitale, che assolve ad una duplice funzione:
- far fruttare i capitali attraverso operazioni commerciali
- procurare adeguati finanziamenti alle imprese.
In base al contratto di Mudaraba la banca conferisce il capitale all’impresa che lo impiega per un dato investimento o progetto. La banca partecipa al progetto apportandovi il capitale, mentre l’imprenditore vi partecipa con il proprio lavoro e attività; il progetto deve essere realizzabile e avere una previsione di rendita economica favorevole.
La banca partecipa ai profitti e alle perdite e l’imprenditore partecipa ai soli profitti, ma non ha diritto ad alcuna remunerazione per il proprio lavoro. Quindi le perdite vengono sopportate solo dal finanziatore (la banca) e la perdita dell’imprenditore è limitata al suo sforzo lavorativo.
Attraverso tale contratto la banca fornisce al richiedente il capitale necessario alla realizzazione del progetto. Di questa somma, una parte è destinata all’acquisizione di capitale fisso per il progetto e una parte è impiegata per le esigenze operative dell’affare (capitale d’esercizio). Il contributo del cliente consiste nello sfruttare le proprie conoscenze tecniche e capacità lavorative per ottenere il miglior risultato possibile, mentre la banca provvede al monitoraggio del progetto: gli eventuali profitti dell’impresa saranno ripartiti, secondo le proporzioni fissate nel contratto, tra il cliente e la banca. In mancanza di profitti il cliente sarà tenuto alla restituzione dei fondi ottenuti; in caso di perdite dovrà rimborsare la somma prestata meno l’ammontare delle perdite subite.
La quota di utili assegnata al cliente deve essere specificata nel contatto: non può consistere in una somma fissa perché trasformerebbe il contratto in una locazione d’opera, ma deve essere espressa come quota proporzionale agli utili. Gli utili non possono essere attribuiti per intero ad una sola delle parti o ad un terzo determinato perché, in tal caso, la Mudaraba si trasformerebbe, a seconda delle circostanze, in mutuo, mandato o donazione.
La banca ha il dovere di mettere a disposizione del cliente la somma concordata nel contratto; a questo dovere corrisponde il diritto di recuperare l’investimento in sede di liquidazione della Mudaraba, nella misura in cui lo permetta il risultato dell’affare.
Contratto di “Musharaka”
Il secondo esempio di finanziamento profit-loss sharing è costituito dal contratto di “Musharaka”. In tale contratto la banca e l’imprenditore costituiscono una società e, a differenza di quanto avviene nel contratto di Mudaraba, potrebbero esserci anche altri soci finanziatori. Il contratto può prevedere o meno il potere di voto e di partecipazione alla gestione da parte dei finanziatori i quali comunque partecipano ai profitti (in base alla percentuale contrattualmente stabilita) e alle perdite (in base alla quota detenuta nell’affare).
L’imprenditore in questo caso, a differenza della Mudaraba, apporta non solo la propria capacità organizzativa, ma anche una quota di capitali investita e partecipa sia agli utili che alle perdite. Si tenga presente che tale figura contrattuale viene di sovente utilizzata per finanziare progetti di investimenti a lungo termine o di rilevo internazionale.
A seconda dei casi, lo scopo può essere:
- sia il finanziamento di una data impresa (già esistente o da costituire)
- sia il credito all’importazione o all’esportazione di merci mediante associazione tra banca e commerciante.
In quest’ultimo caso le parti procedono all’apertura di un conto presso la banca nel quale depositano ciascuno la propria parte di capitale e ove saranno versati i proventi delle vendite che saranno successivamente divisi in base alle quote fissate nel contratto e proporzionalmente alle quote di capitale conferito.
La merce viene venduta dal cliente-socio della banca che provvederà anche a fornire rendiconti periodici della situazione. La Musharaka si scioglie con l’esaurimento delle merci, ovvero trascorso un determinato termine dalla stipula del contratto.
In questa forma la Musharaka è applicata in modo particolare alle pratiche di commercio internazionale, contesto in cui si innestano attività che il diritto musulmano circonda di particolari cautele perché presentano elementi di illiceità che potrebbero “contaminare” l’integrità morale del contratto.
Più complessa risulta la struttura della Musharaka per il finanziamento delle imprese: l’alto livello di rischio, insito naturalmente in queste operazioni, fa sì che la Musharaka e le operazioni di finanziamento in conto capitale che ne derivano, trovino spazio operativo soprattutto a livello internazionale, nel settore della cooperazione commerciale, tecnico-economica e allo sviluppo.
I contratti bancari islamici hanno dimostrato, negli ultimi anni, una elasticità tale da consentire agli operatori finanziari di impiegarli agevolmente anche in vaste operazioni di finanziamento, quali joint venture.
Secondo il diritto musulmano le operazioni di joint venture si basano sui contratti di Mudaraba e Musharaka. In particolare, il conferimento di capitale da parte dei soci, al quale si accompagna spesso la creazione di una nuova società (solitamente in forma di società a responsabilità limitata), destinataria del finanziamento e avente la funzione di realizzare gli interessi comuni dei soci, rende la Musharaka particolarmente idonea a svolgere le funzioni di una joint venture corporation. In quanto entrambi enti di natura societaria, Musharaka e joint venture corporation sono assoggettate al diritto del paese in cui sono state costituite.
Il contratto di Mudaraba invece, caratterizzato dal conferimento di capitale e lavoro, è più indicato per la realizzazione di una joint venture contrattuale in cui il perseguimento dello scopo comune è affidato alla cooperazione contrattuale tra i soci.
In ogni caso va rilevato come, nella realizzazione dello scopo comune, la joint venture islamica risulti spesso composta dalla combinazione di Musharaka e Mudaraba a seconda delle esigenze, dando vita spesso ad una pluralità di contratti attraverso i quali le imprese coinvolte nella joint venture conferiscono capitale, lavoro e tecnologie.
Il contratto di Musharaka può essere utilizzato in operazioni di venture capital che consistono in forme di finanziamento realizzate attraverso la partecipazione al capitale di rischio delle imprese. Nei paesi musulmani l’attenzione è concentrata sugli artigiani e le piccole industrie, finanziati attraverso la c.d. “Musharaka mutanaqisa”, che permette alla banca di recuperare progressivamente i suoi fondi, grazie ai profitti realizzati, e di uscire gradualmente dal progetto, mentre il cliente riacquista man mano la titolarità del capitale d’impresa.
Con la Musharaka i finanziatori “acquistano” una quota anche rilevante (tra il 50 e il 65%) dell’impresa emergente, riservandosi di trasferire i titoli nuovamente all’impresa dopo un certo lasso di tempo o di collocarli sul mercato. Nonostante il contratto preveda la gestione congiunta dell’operazione, e nonostante l’acquisizione di quote spesso maggioritarie da parte dei finanziatori, questi ultimi affidano nella maggior parte dei casi la gestione all’imprenditore, conservando un ruolo di consulenza, supervisione e monitoraggio dello sviluppo dell’operazione.
Alessandro Russo