Con l'art. 3, comma 4-ter del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009 n. 33, a sua volta emendato con la Legge n. 122 del 30 luglio 2010 il legislatore nazionale ha introdotto la disciplina del contratto di rete. Questo contratto, vera novità anche a livello europeo:
- rappresenta un valido supporto di crescita e di innovazione per le piccole e medie imprese
- apre scenari nuovi verso alleanze e cooperazioni interaziendali, tra l’altro nei campi dello sviluppo e della ricerca
- consente di condividere conoscenze e professionalità pre-competitive, di produrre nuovi beni materiali o immateriali, di affrontare con maggior massa critica i mercati internazionali.
Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano a esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di aumentare la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.
Il concetto d’impresa va qui inteso, seguendo la migliore Dottrina (da ultimo Presti – Rescigno “Corso di diritto Commerciale”), come perseguimento di un metodo economico cioè con modalità che, con giudizio preventivo ed astratto, consentano almeno la copertura dei costi con i ricavi. Da ciò discende che anche le Associazioni (enti per i quali la legge impedisce la distribuzione degli utili fra gli associati) possono essere considerate imprese.
Soggettività giuridica del contratto di rete
Il contratto di rete è un contratto di collaborazione tra due o più imprese, che possono essere di diverso tipo: società di capitali, società di persone, imprese individuali, cooperative, imprese pubbliche, associazioni. Questo contratto parrebbe identificarsi sostanzialmente con il contratto di consorzio disciplinato dagli artt. 2602 e ss. del c.c., ma se ne distingue per una struttura più snella.
Quando nel contratto di rete si dice che le imprese "si obbligano a esercitare uno o più attività" si deve intendere che si tratta solo di una fase dell'attività che forma il loro oggetto sociale. Il contratto di rete non dà vita a un nuovo contratto di società: ogni impresa partecipante mantiene la propria individualità e la propria presenza sul mercato.
A mio parere, però, il contratto di rete ha una soggettività giuridica alla stessa stregua di come l’hanno le società di persone. Ecco spiegato, tra l’altro, la possibilità dei conferimenti, la creazione di un fondo, la nomina di un Organo di Governo, la possibilità che la rete di imprese possa fatturare, assumere dipendenti, ecc… (con l’auspicio che l’Agenzia delle Entrate acceleri l’attribuzione della partita IVA a questo tipo di contratto).
Redazione del contratto di rete
Il contratto è redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e deve indicare:
- la denominazione sociale delle imprese aderenti alla rete
- l'indicazione delle attività comuni poste a base della rete
- l'individuazione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune da perseguirsi attraverso l'istituzione di un fondo patrimoniale comune (elemento che lo distingue assieme alla stabilità e non temporaneità del contratto di rete dalla Joint Venture Contractual/ATI), in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all'affare, ai sensi dell'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile
- la durata del contratto e le relative ipotesi di recesso
- l'organo comune incaricato di eseguire il programma di rete, i suoi poteri, anche di rappresentanza e le modalità di partecipazione di ogni impresa all'attività dell'organo.
Il contratto di rete è iscritto nel registro delle imprese ove hanno sede le imprese contraenti. Alle reti delle imprese di cui al presente articolo si applicano le disposizioni dell'articolo 1, comma 368, lettera b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni.
Contratto di rete composto da imprese italiane e straniere
Una delle principali ragioni per cui il nostro legislatore ha creato questo nuovo modello di contratto associativo è per stimolare l’aggregazione tra imprese per orientarsi con maggior massa critica verso i mercati esteri.
La figura internazionale che più si potrebbe avvicinare al contratto di rete è probabilmente il GEIE (recepito in Italia con il d. lgs. 23 luglio 1991, n. 240) che si differenzia per i seguenti motivi:
- il GEIE ha una struttura più normata, pilotata e ingessata rispetto al contratto di rete d’impresa (dove, invece, l’autonomia contrattuale ex art. 1322 la fa da protagonista)
- al GEIE possono partecipare anche professionisti
- il GEIE non ha come propria ratio un orientamento verso i settori innovativi.
Immaginiamo che le imprese italiane possano svolgere, assieme a quelle straniere, attività strategiche per la conquista di nuove fette di mercato.
Se nel contratto di rete, così come normato dal diritto italiano, vi partecipano anche imprese di diritto straniero il diritto che governerà il contratto dovrà essere come struttura di base quello della normativa italiana. E comunque le imprese straniere, per poter partecipare, devono avere una stabile organizzazione sul territorio italiano altrimenti non possono risultare iscritte nel Registro delle imprese.
A questo proposito l’Agenzia delle entrate ha affermato che nei contratti in rete composti sia da società italiane che straniere (che hanno stabile organizzazione in Italia) le società italiane mantengono le agevolazioni fiscali offerte dal diritto tributario italiano.
Invece le società straniere, anche se partecipate totalmente o parzialmente da società italiane, non possono usufruire delle agevolazioni fiscali essendo sottoposte a un sistema tributario straniero (e non essendo il contratto di rete, al momento, un contratto con valenza europea).
Discorso diverso, almeno in teoria, riveste la scelta del foro competente o dell’arbitrato internazionale che potrebbe essere anche non italiano con tutte le problematiche che ne discenderebbero riguardo l’esecutività delle sentenze (all’interno dell’UE reg. n. 44 del 2001) e l’eseguibilità del lodo arbitrale internazionale (Convenzione di New York del 1958).
Marco Tupponi